A vent’anni dalla tragica alluvione in Valcanale del 2003: cosa accadde e in cosa siamo migliorati

Nella memoria storica del Friuli Venezia Giulia, un posto indelebile è occupato dal catastrofico evento alluvionale del 29 agosto 2003 (figura 1, i danni). Fu un episodio di intensità rara, al termine di un’estate che peraltro frantumò record su record di temperatura ancora oggi, in buona parte, imbattuti.

figura 1 - alcune immagini dei danni dell’alluvion...

Figura 1 - Alcune immagini dei danni dell’alluvione del 2003 in Valcanale (foto da Unione Pompieri Volontari FVG - Ugovizza)

In poche ore caddero fino a 500 mm di pioggia in un’area molto limitata, tra il Canal del Ferro, la Val Aupa e la Valcanale, a causa di alcuni temporali capaci di rigenerarsi con la medesima intensità sulle stesse località nell’arco di circa 4 ore. Questa quantità di pioggia provocò oltre 800 smottamenti che determinarono, purtroppo, 2 morti.

L’evento, nella sua drammaticità, pur essendo stato seguito passo passo nella fase di previsione e nella sua evoluzione sia da ARPA FVG che dalla Protezione Civile Regionale, ha palesato, assieme ad altri eventi occorsi in Italia negli anni precedenti, la necessità di consolidare le prassi di allertamento attraverso più strette collaborazioni istituzionali al fine di dare risposte più pronte per mitigare e contenere gli effetti di eventi di tale intensità e portata. Risale infatti all’anno successivo la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004 che istituisce i Centri Funzionali Decentrati di Protezione Civile.

Oggi, i progressi tecnologici e della conoscenza permettono, attraverso l’affinamento dei modelli previsionali meteorologici e idrologici, di migliorare la predicibilità degli eventi, a vantaggio del sistema di protezione civile che può agire con più prontezza, più anticipo e più precisione.

L’evento attraverso i report dell’Osservatorio meteorologico di ARPA

Le analisi fatte allora dall’Osservatorio Meteorologico dell’ARPA identificarono subito gli elementi salienti, come la pioggia caduta in Valcanale e Canal del Ferro e la configurazione meteorologica che portò a un tale evento.

Riprendendo i rapporti di allora, leggiamo che “dalle ore 10 fino alle ore 20 UTC circa sulla fascia centrale e occidentale delle Prealpi friulane si sono sviluppate in continuazione diverse celle temporalesche, specie nella zona del monte S. Simeone e Val d’Arzino, dove il vento da sud s’incanalava e cominciava la sua salita in verticale. Una volta originata la cella, il vento in quota la trasportava verso nord-est lungo una direttrice stazionaria che investiva in successione le località di Moggio, Dogna, Pontebba e il monte Oisternig. La massima intensità del fenomeno si è avuta tra le ore 12 e le ore 18 UTC, con celle di notevole persistenza, ampiezza e intensità (la riflettività radar nella zona si è mantenuta sempre a fondoscala)”.

Subito dopo ecco, implacabili, i numeri: “Nel triangolo tra il monte Cavallo di Pramollo, il monte Oisternig e la Val Aupa sono caduti dai 200 ai 500 mm in 12 ore e tra 150 e 300 mm in 6 ore. In particolare si sono registrati: circa 300 mm in 4 ore a Pontebba (circa 400 in 24 ore); circa 300 mm a passo Pramollo in 24 ore, di cui 200 mm in meno di 5 ore (figura 2, la stima radar delle piogge in 6 ore)”, pur restando qualche dubbio sulla reale risposta degli strumenti a una tale intensità di pioggia.

figura 2 - 29 agosto 2003: mappa delle piogge cumu...

Figura 2 - 29 agosto 2003: mappa delle piogge cumulate in 6 ore stimate dal Radar meteorologico di Fossalon di Grado (GO)

Analisi meteorologica dell’evento

Le ragioni meteorologiche venivano identificate, dai previsori meteo, in 4 elementi fondamentali di circolazione atmosferica generale (figura 3):

  1. un anticiclone caldo sul Mediterraneo centrale;
  2. una depressione tra la Spagna ed il Golfo di Biscaglia;
  3. una discesa d’aria fredda dall’Artico verso il Regno Unito il 28, che ha raggiunto il Golfo di Biscaglia il 29;
  4. una depressione al suolo posizionata il 29 sulla Germania
figura 3 - mappa di analisi meteorologica sinottic...

Figura 3 - Mappa di analisi meteorologica sinottica del 29 agosto 2003 alla quota di 50 hPa (intorno ai 5500 m): si notano in particolare l’anticiclone caldo sul Mediterraneo centrale e la depressione sul golfo di Biscaglia con le correnti da SW verso il nord Italia

Assieme, questi elementi hanno innescato una situazione alla mesoscala, ovvero alla scala regionale, così descritta:

a) da mezzogiorno a sera, sul Friuli Venezia Giulia soffia, al suolo, vento forte da sud-sud-est (Scirocco) proveniente dal mare Adriatico, molto caldo - siamo alla fine della torrida estate 2003

b) sulla costa abbiamo così una temperatura di 28°C, umidità del 75% e velocità vento oltre 10 m/s

c) ciò produce un notevole flusso energetico verso i monti: lo strato è spesso 500/600 m, si mantiene per circa 8 ore e viene convogliato orograficamente tra Prealpi Carniche e Giulie (figura 4)

d) dopo le 20 UTC (le 22 locali) circa il fronte passa e il vento diventa un sud-ovest moderato - fine dell’evento

figura 4 - analisi del radiosondaggio di udine cam...

Figura 4 - Analisi del radiosondaggio di Udine Campoformido: si nota nei bassi strati l’afflusso di aria molto calda da sud verso nord

Una pubblicazione a più mani dell’Università di Padova, datata 2006, aggiunge che l’impatto di un evento meteorologico di per sé molto intenso è stato amplificato dal fatto che è avvenuto alla fine di una lunga fase siccitosa e molto calda, che ha lasciato terreni molto secchi e con grande variabilità spaziale nelle caratteristiche di umidità. Ne è risultato un evento con piogge da record e notevoli mutamenti geomorfologici dei territori interessati.

Una risposta: il CFD

Questo è quanto consegniamo alla storia.

Spetta all’attualità, invece, interrogarsi sui passi avanti compiuti, da allora, per mitigare e contenere gli effetti di eventi meteo-idrologici di tale intensità e portata.

Il più evidente e decisivo passo avanti è stata l’istituzione del Centro Funzionale Decentrato (CFD) di Protezione Civile, nato nella nostra regione il 1 dicembre 2014, come ”base del sistema di allertamento regionale per le avversità di carattere meteorologico, idrogeologico, idrogeologico per temporali e idraulico” (dal sito protezionecivile.fvg.it); fa parte del sistema nazionale di allertamento assieme ai centri di competenza e al Centro Funzionale Centrale operante presso il Dipartimento nazionale della protezione civile.

Nella nostra regione il Centro Funzionale Decentrato (CFD) della Protezione Civile del Friuli Venezia Giulia è diviso tra il Settore IdroGeo, in capo alla Protezione Civile Regionale, e il Settore Meteo, in capo ad ARPA FVG. Le funzioni specifiche del CFD vanno quindi dalla fase di previsione, monitoraggio e sorveglianza dei fenomeni meteorologici alla valutazione dei possibili scenari di criticità idraulica, idrogeologica e idrogeologica per temporali per le 4 zone di allerta che compongono la Regione, codificati secondo livelli di criticità crescenti: verde, gialla, arancione e rossa.

È pur vero che, nel 2003, la fase di previsione meteorologica di un evento rilevante era accompagnata da un’informazione alle autorità e alla popolazione attraverso uno o più comunicati informativi a mezzo stampa (in figura 5 l’immagine del comunicato emesso allora dall’Osservatorio meteo di ARPA).

figura 5 - il comunicato meteo arpa fvg emesso due...

Figura 5 - Il comunicato meteo ARPA FVG emesso due giorni prima dell’evento alluvionale del 29 agosto 2003

Oggi, grazie al CFD, tutte le fasi di un evento, dalla previsione alla gestione, sono presidiate secondo accurate procedure che permettono valutazioni preventive e in corso di evento relative a tutto ciò che è necessario mettere in campo per la mitigazione delle conseguenze di eventi meteo intensi.

Una migliore capacità di previsione

Guardando nel campo prettamente meteorologico, grossi passi avanti sono stati compiuti nella modellistica numerica che è alla base delle previsioni; i previsori meteo, infatti, per giungere a delineare uno scenario futuro, si basano sugli output dei modelli di simulazione meteorologica, che oggi sono presenti in grande numero e ciascuno con uno scopo preciso: i modelli cosiddetti “globali”, che descrivono anche con largo anticipo l’andamento della circolazione generale, foriera ad esempio delle forzanti meteorologiche principali come i fronti, con ottima affidabilità; i modelli ad area limitata e ad alta risoluzione, che forniscono la capacità di simulare esplicitamente fenomeni intensi e localizzati come i temporali forti e stazionari; i modelli probabilistici, che offrono la valutazione della probabilità di accadimento di determinati fenomeni o di superamento di determinate soglie ad esempio di pioggia cumulata su una zona. Non ultime, le tecniche di “deep learning” e di intelligenza artificiale hanno permesso di sviluppare modelli specifici sempre più raffinati per grandezze difficilmente simulabili fisicamente, quali la quantità di fulmini, l’instabilità atmosferica, ecc.

Non è ancora arrivata l’epoca in cui possiamo dormire sonni tranquilli, in quanto gli eventi meteorologici estremi continuano e continueranno ad esserci e a provocare danni e problemi, ma possiamo dire che dormiamo sonni consapevoli, perché anche i fenomeni più estremi ci colgono sempre meno di sorpresa. In vent’anni, sembra un buon risultato.

Ultimo aggiornamento 29/8/2023

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