Le trezze: il mondo sommerso

© Foto Stefano Caressa

E' un'idea comune che i fondali dell’Alto Adriatico siano formati da un'ampia e monotona distesa piatta caratterizzata da solamente sedimento sabbioso e fangoso.

Tuttavia i pescatori locali da molto tempo conoscono bene l’esistenza particolari zone, a diverse profondità ed in diverse aree, in cui il fondale, normalmente sabbioso e fangoso, si presenta d’un tratto duro e roccioso, in corrispondenza delle quali le reti potevano impigliarsi e venire immediatamente perdute. Queste aree, denominate localmente trezze o grebeni (tegnùe dai pescatori veneti), erano talvolta molto ricercate dai pescatori in quanto ricche di pesce pregiato, ma al contempo temute per i danni che potevano portare alle attrezzature.

Affioramento roccioso su fondo sabbioso - © foto Lisa Faresi - Arpa FVG

Le prime notizie, a livello accademico, sull'esistenza e la natura di questi particolari biotopi rocciosi, si riscontrano nel lavoro di faunistica adriatica dell’ Abate Giuseppe Olivi del 1792 dal titolo "Zoologia Adriatica".

Studi scientifici degli anni '60 hanno poi dimostrato come la monotonia di questi fondali sia spesso interrotta dalla presenza di innumerevoli affioramenti rocciosi: isole di substrato solido che creano un'alta diversità specifica nei popolamenti e per questo particolarmente preziose.

Le trezze o grébeni nel Golfo di Trieste

Mappa dei grébeni nel Golfo di Trieste

Le aree interessate dagli affioramenti rocciosi si estendono dal golfo di Trieste fino al litorale di Ancona lungo tutta la costa nordoccidentale e occidentale dell'Alto Adriatico. Nel Golfo di Trieste si trova un numero elevato di questi affioramenti rocciosi.

Studi effettuati da Caressa et al., (2001) e da Gordini et al., (2004) hanno individuato centinaia di affioramenti al largo di Grado e di Lignano Sabbiadoro confermando che la distribuzione complessiva di queste strutture rocciose appare interessare anche l’intero Golfo di Venezia, dalle Foci dell’ Isonzo all’area Nord delle foci del Po; alcune formazioni simili si trovano anche nel versante sloveno del Golfo di Trieste.

Le dimensioni dei grébeni possono essere molto diverse, variando dai pochi metri quadri ad alcune migliaia di metri quadri nei complessi di maggiore superficie, con elevazioni dal fondale che passano dai pochi decimetri nelle formazioni basse e tavolari, talora definite “lastrure”, ad alcuni metri in quelle più alte, spesso localizzate a maggiore profondità.

Formazione rocciosa pinnacolare © foto Lisa Faresi - Arpa FVG

  • Nel Golfo di Trieste sono stati finora individuati circa 250 affioramenti rocciosi fra p.ta Sdobba e p.ta Tagliamento ad una distanza dalla linea di costa che varia fra i 2 ed i 17 km e ad una profondità variabile fra gli 8 ed i 22 metri. Le dimensioni dei singoli affioramenti variano da uno a trecento metri, possono essere isolati o in gruppi frastagliati con altezza media fra 1 e 1.5 metri ed un valore approssimativo di densità di circa 1 affioramento per ogni km2 di fondale marino.

La formazione di queste isole di substrato solido può essere ricondotta a diversi possibili fattori, quali la cementazione di depositi legati alla fuoriuscita di gas metano, la collocazione parallela alle attuali linee di costa, la cementazione nell’immediato sottofondo di vecchie praterie della fanerogama Posidonia oceanica ormai limitata in zone ristrette, o ancora, la trasformazione di rocce di natura calcarea formatesi attraverso complessi fenomeni geologici.

Origine e struttura

Numerosi studi geologici hanno permesso una tipizzazione degli affioramenti sotto il profilo morfologico e strutturale riconducendole essenzialmente a tre diverse tipologie:

  • rocce sedimentarie clastiche formate per cementazione carbonatica di sedimenti, come le sabbie o detrito organogeno, probabilmente legati a fenomeni di variazione del livello marino in epoche geologicamente recenti, denominate comunemente “beachrocks”. Presentano spesso l’aspetto di lastre suborizzontali, emergenti dal fondo per spessori molto variabili, con inclinazione di norma molto lieve, cosa che ne determina la facile sommersione da parte di sedimenti, così come, invece, al predominare dell’azione erosiva delle correnti si possono determinare emersione di nuove strutture o lo scavo di depressioni e cavità lungo le zone perimetrali;
  • rocce sedimentarie di deposito chimico, la cui genesi sarebbe legata all’emersione di gas metano dal fondo e dalla reazione di questo con l’acqua marina con l’innesco di un processo che può determinare la precipitazione di carbonati con cementazione dei sedimenti. Successive azioni erosive provocherebbero l’emersione delle strutture;
  • rocce organogene, ovvero strutture prodotte dall’azione di organismi costruttori, vegetali e animali, il cui scheletro calcareo stratificandosi può formare strutture di discreto spessore. Un tale processo generativo porta a morfologie estremamente varie ed irregolari, con formazioni ricchissime di porosità, micro e macro cavità dovute alla diversa velocità ed irregolarità di accrescimento dei vari organismi costruttori.

I popolamenti bentonici delle trezze

Esemplari di castagnola (Chromis chromis) in prossimità di un grébeno © Foto Lisa Faresi - Arpa FVG

Spesso le diverse tipologie sopra descritte coesistono, in diversi casi le formazioni organogene possono svilupparsi sopra strutture di natura sedimentaria, ricoprendole con strati di spessore variabile, allo stesso modo in cui possono colonizzare substrati artificiali di origine antropica.
In ogni caso le strutture organogene sono costituite essenzialmente da alghe calcaree, briozoi, serpulidi e cnidari incrostanti. L’importanza ai fini costruttivi della frazione vegetale su quella animale è molto variabile e soggetta essenzialmente a fattori di luminosità, ovvero legati alla profondità ed alla torbidità delle acque.

© Foto Lisa Faresi - Arpa FVG

Data la morfologia molto irregolare, le superfici ricchissime di microanfratti e rugosità, l’origine biologica e la caratteristica elevata diversità specifica queste strutture sono spesso denominate reefs e paragonate alle strutture coralline dei mari tropicali, che tuttavia derivano dall’azione di organismi ermatipici perlopiù coralli che contengono nei loro tessuti alghe unicellulari simbionti che necessitano acque calde e limpide per l'attività fotosintetica, mentre le nostre trezze a causa dellea torbidità delle acque non dipendono sostanzialmente sotto il profilo trofico da processi fotosintetici a livello bentonico.

Le trezze ospitano popolamenti bentonici riconosciuti con il termine di "coralligeno di piattaforma", organismi biocostruttori il cui scheletro calcareo stratificato può creare complessi di notevole spessore.

Si sviluppano così comunità diversificate sia fra i diversi siti, sia all’interno degli stessi biotopi in un mosaico di microambienti che rende piuttosto complesso lo studio e la comparazione delle comunità presenti.

Queste comunità, in base alla diversa localizzazione, sono riconducibili a sostanzialmente a biocenosi appartenenti al piano Circalitorale, con molte entità sciafile, ma con la contemporanea presenza anche di specie fotofile.

Tuttavia l’apporto della componente vegetale appare limitato in relazione a quello determinato dalla componente zoologica, differenziandosi sensibilmente in questo senso dal coralligeno di cui presenta, comunque, numerose specie caratteristiche.

La torbidità dovuta alla grande quantità di materiale in sospensione se da un lato riduce la luminosità al fondale, dall’altro costituisce un inesauribile fonte di nutrimento per filtratori e detritivori, che costituiscono infatti l’elemento dominante, anche quantitativamente, in queste comunità.

Queste formazioni rocciose rappresentano delle vere e proprie oasi di ricchezza biologica, creando un incremento di diversità in un ambiente apparentemente monotono, come quello sabbioso e fangoso, in cui l’alto tasso di risospensione del sedimento non favorisce lo sviluppo di numerosi organismi che ne verrebbero sepolti.

Uova di gattuccio - © Foto Lisa Faresi - Arpa FVG

La base solida delle trezze, in particolare, permette l'insediamento di svariate specie filtratrici, come le spugne, che necessitano di un supporto solido al quale ancorarsi per poi elevarsi dal fondale; per non parlare delle diverse forme riproduttive di altri organismi che a loro volta per accrescersi devono aderire ad un sostegno solido.

Due esempi di spugne particolari e tipicamente presenti nelle trezze sono Axinella polypoides e Dysidea avara.

Axinella polypoides è una spugna arborescente, molto appariscente di colore giallo intenso, la sua altezza può variare da 5 a 30 cm, con numerose ramificazioni che terminano in modo appuntito, si tratta di una specie tipica del Mediterraneo.

Dysidea avara, spugna massiva con lobi e protuberanze cilindriche. In cima alle protuberanze si aprono i sifoni circondati da un collaretto translucido. La superficie è ricoperta da conuli alti 3-6 mm, mediamente raggiunge i 20 cm di altezza. La consistenza è morbida e varia dal rosa chiaro al viola intenso. Vive in grotta, negli ambienti coralligeni e sui fondali detritici costieri.

Homarus gammarus (astice) - © Foto Lisa Faresi - Arpa FVG

Le trezze sono spesso ricche di anfratti e cavità rocciose più o meno strette che possono fungere da tana fornendo rifugio e protezione per numerose specie di crostacei, pesci e soprattutto specie ittiche giovanili.

Si ritrovano specie rilevanti ai fini dei protocolli internazionali di protezione e conservazione come il dattero (Lithophaga lithophaga), l’astice (Hommarus gammarus), la corvina (Sciaena umbra) e la granceola (Maja squinado).

Arpa FVG nel corso del progetto Trecorala (Interreg Italia-Slovenia 2012-2015) ha collaborato con OGS, WWF, Area Marina Protetta di Miramare ed Università di Trieste, Stazione Biologica di Pirano e Acquario di Pirano, svolgendo delle indagini preliminari su una quarantina di affioramenti creando in particolare una lista faunistica degli invertebrati bentonici presenti.

Dal monitoraggio subacqueo è stata osservata una elevata copertura del substrato roccioso a carico di alghe ed organismi incrostanti, anemoni e colorate spugne dall’aspetto massivo, globulare o arborescente, sulla cui superficie si possono incontrare piccole lumachine dai colori sgargianti, granchi, paguri e ricci.

Le specie più rappresentate sono organismi filtratori appartenenti ai poriferi (comunemente chiamati spugne) e tunicati, seguiti da molluschi e crostacei.

San Pietro e Bardelli SIC marini - Zona Speciale di Conservazione (ZSC) e Zona di Protezione Speciale (ZPS)

Nell'ottica della protezione delle trezze quali zone molto singolari e preziose per il mantenimento della biodiversità ambientale, la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ha individuato l’Area Marina Trezze di San Pietro e Bardelli quale sito marino della regione biogeografica continentale della rete Natura 2000 con DGR 1623 del 20.09.2012. 

Con Decisione 2015/69/UE del 03.12.2014 la Commissione Europea ha inserito il sito nell’elenco dei SIC marini della regione biogeografica continentale.

Dal 17.06.2020 (decreto ministeriale 20A03718, MATTM) il sito è stato designato ZSC: zona speciale di conservazione.

Con DGR 2004 del 23 dicembre 2021, pubblicata sul BUR n. 1 del 05/01/2022, il sito è stato individuato quale nuova Zona di Protezione speciale (ZPS).

Ultimo aggiornamento 29/8/2023

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