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Come sta cambiando la comunità ittica nel Golfo di Trieste?

Osservazioni e riflessioni di un biologo marino

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Nicola Bettoso

Fino alla fine degli anni ’60 gli sgombri facevano la loro comparsa nel Golfo di Trieste nei mesi di aprile-maggio e vi venivano pescati fino alla fine dell’estate in quantità medie di 1000-1500 quintali l’anno. Dopo il 1970 la produzione di questa specie raggiunse appena qualche decina di quintali, riducendosi così di almeno due ordini di grandezza. Il fenomeno fu attribuito a inquinamenti attorno all'isola di Pelagosa, la zona che viene indicata quale unico luogo di riproduzione dello sgombro adriatico, a malattie epidemiche, a competizioni con il congenere Scomber colias (lanzardo)… Nessuna di queste spiegazioni fu però sufficiente a dar ragione di un così grande e improvviso calo della produzione. Per tentare altre spiegazioni fu utile richiamare alcuni concetti di biologia delle popolazioni ittiche: ciascuno stock di pesci con uova e larve pelagiche (la stragrande maggioranza) vive all’interno di un circuito di correnti in cui avviene la riproduzione, lo sviluppo larvale e giovanile e il reclutamento delle nuove leve allo stock di adulti, ovvero la popolazione pescabile. Siccome in questo circuito esiste una fase di trasporto passivo corrispondente agli stadi planctonici di uova e larve, è ovvio che lo stock mantiene le sue caratteristiche solo se ciascuna fase del ciclo si svolge nel luogo e nel momento adatto. Se dei mutamenti climatici (nel caso specifico per l’Adriatico: diminuzione degli apporti del Po o spostamento delle fasi di massima e minima in seguito a modificazione del regime di precipitazione; aumento delle advezioni di acque meridionali e aumento dei tempi di soggiorno delle acque nel bacino in seguito a regimi di pressioni livellate su tutto il bacino Mediterraneo e Adriatico) influenzano la velocità o la direzione delle correnti che formano il circuito, ecco che la deriva larvale può concludersi in un luogo non adatto a fungere da nursery (luogo di accrescimento dei giovanili), oppure nel luogo giusto ma in un momento inadatto, ad esempio quando la produzione delle possibili prede si è già conclusa. Fallisce così il reclutamento delle nuove leve. Dopo alcuni di questi fallimenti lo stock può addirittura scomparire (Orel, 2007).

Nel 1974 il Cap. Mario Bussani rilevò per la prima volta la presenza della sardina africana o alaccia (Sardinella aurita) nel Golfo di Trieste, il settore più settentrionale del bacino Mediterraneo. Alcuni individui di questa specie furono catturati in mezzo ai banchi di sardina (Sardina pilchardus) durante le operazioni di pesca con le fonti luminose (saccaleva) (Bussani, 1986). L’alaccia è una specie tipicamente termofila e rappresentò un importante risorsa ittica nelle acque antistanti la foce del fiume Nilo, fino al tracollo produttivo durante gli anni ’60 a causa della diga di Assuan in Egitto. La sua presenza nel Golfo di Trieste è ormai regolare durante il periodo estivo, anche se i dati sulle sue catture sono molto incostanti. Tuttavia fu rilevata anche durante l’inverno 2009, nel mese di febbraio, dove fu protagonista di un evento di moria di massa a causa di un drastico calo delle temperature associato ad un evento di bora (Fig. 1) (Lipej et al., 2013).

Fig. 1 Alaccia o sardina africana (Sardinella aurita) nel Golfo di Trieste (febbraio 2009) (foto: Stazione biologia marina di Pirano)

Questi ed altri fenomeni anomali, comparsi a partire dagli anni ’70, fecero presagire che qualcosa nel mare stava cambiando. In effetti, a partire dal 1970 i giorni con temperatura del mare inferiore a 6,5° C sono passati da circa 35/anno a meno di 10. Dal 2000 in poi il numero di giorni/anno con temperature inferiori a tale valore è pressoché nullo, se non fosse per il singolo evento freddo del 2012, che per certi aspetti fu comparabile al famoso inverno del 1929.

In tale contesto, l’aumento generalizzato della temperatura del mare di questi ultimi anni ha notevolmente livellato le stagionalità caratteristiche dell’Alto Adriatico. A un siffatto aumento di temperatura viene associato il fenomeno di tropicalizzazione, manifestato da un ampliamento verso Nord delle specie a spiccato carattere termofilo ed in questo senso la fauna ittica ne rappresenta un buon indicatore. Pertanto parecchie specie ittiche un tempo rare o poco frequenti, ora risultano più abbondanti, mentre si registrano continuamente nuove presenze, anche di carattere alloctono o alieno, queste ultime provenienti principalmente dal Mar Rosso attraverso Suez. Viceversa alcuni stock di specie ad indole tipicamente boreale, quali ad esempio la passera di mare (Platichthys flesus) e la sardina papalina (Sprattus sprattus) (Fig. 2), confinate nell’area più settentrionale del bacino, stanno subendo una sensibile rarefazione.

Fig. 2 Sardina papalina o spratto (Sprattus sprattus) (foto: Diego Borme)

Tra le specie ad indole termofila è meritevole di citazione la cattura di un esemplare di pesce foglia (Lobotes surinamensis) nel luglio 2016 proprio nella Laguna di Marano (Bettoso et al., 2016) (Fig. 3). Questa specie è cosmopolita nelle acque marine e salmastre delle aree tropicali e sub tropicali. E’ la seconda cattura ufficiale nell’Alto Adriatico, dopo quella del 2013 nel Canal d’Arsia nell’Istria orientale.

Fig. 3 Pesce foglia (Lobotes surinamensis) catturato nella Laguna di Marano (luglio 2016) (foto: Pietro Dal Forno)

Il pesce serra (Pomatomus saltatrix) è invece una di quelle specie un tempo rare, ma che ormai sono diventate talmente abbondanti da costituire una preda ambita dai pescatori, soprattutto sportivi (Fig. 4). Si tratta di un pesce pelagico e migratorio caratteristico delle zone costiere temperate e sub tropicali, meglio conosciuto come bluefish. La prima segnalazione ufficiale sulla sua presenza cospicua in Alto Adriatico risale al dicembre 2003, nella Val di Torre alla foce del fiume Quieto in Istria. In questa località durante i mesi invernali si pratica ancora la pesca con la tratta, dove più dell’85% del pescato è costituito da cefali, il rimanente anche da pesce bianco pregiato. In tale occasione invece vennero catturati anche 1.520,8 kg di pesci serra (Dulčić et al., 2005). In seguito, nel 2009, il novellame di pesce serra fu ritrovato nei cogolli a maglia stretta nella Laguna di Venezia (Riccato et al., 2011) e nella Laguna di Marano e Grado (Bettoso et al., 2013), a testimonianza del fatto che ormai questa specie si è insediata stabilmente anche nel settore più settentrionale del bacino Mediterraneo. Il pesce serra è un vorace predatore di pesci che sta assumendo carattere di dominanza e rappresenta una reale minaccia per le popolazioni ittiche. Durante una delle ultime edizioni della tratta in Val di Torre, invece dei cefali, il pescato era quasi completamente rappresentato dai pesci serra.

Fig. 4 Cattura sportiva di pesce serra (Pomatomus saltatrix) (foto: Diego Borme)

Come conseguenza, tali osservazioni inducono a pensare che le modificazioni climatiche incidano fortemente non solo nella comparsa di certe specie termofile, ma anche sull’intera struttura trofica del Golfo di Trieste, propaggine settentrionale dell’Adriatico, conferendo ad essa connotazioni da mare temperato caldo-subtropicale rispetto alle precedenti caratteristiche di mare temperato, diminuendo le escursioni stagionali. Nel settore della pesca, con un siffatto scenario climatico, si va a verificare quindi un graduale passaggio da un ciclo di produzione della pesca tipico di aree temperate, con due massimi stagionali di produzione annuale ben definiti (in primavera e autunno), verso un ciclo di produzione più simile a quello subtropicale o tropicale, in cui la produzione ittica è distribuita piuttosto uniformemente nel corso dell’anno, ma con valori sostanzialmente inferiori (Orel & Zamboni, 2003).

Gli ambienti lagunari dell’Alto Adriatico stanno assumendo connotati sempre più marini, una delle concause è l’innalzamento del livello del mare. Questo potrebbe minacciare alcune specie tipicamente lagunari come il ghiozzetto cenerino o giavedon (Pomatoschistus canestrinii), che tra l’altro è già inserito nell’Allegato II della Direttiva Habitat 92/43/CEE. Questa specie, infatti, vive confinata nella porzione più interna della Laguna di Marano, soprattutto in prossimità delle foci del fiume Stella, dove la salinità varia tra 5 e 20 (Bettoso et al., 2013). Rispetto al passato, inoltre, quando la Laguna di Marano e Grado era dominata dal pesce piatto, in primis la passera di mare, specie a indole nordica, si assiste ora alla dominanza dell’orata (Sparus aurata), la quale predilige invece acque più calde e salate ed anzi soffre le basse temperature. E’ evidente che il paventato scenario climatico favorirà sempre più la presenza degli sparidi come l’orata, piuttosto che dei pleuronettiformi o pesci piatti. La rarefazione non riguarda però solo la passera di mare, ma anche una delle sue prede più ambite, il gamberetto grigio o schila (Crangon crangon), anch’esso una specie più confacente ai regimi climatici del Nord piuttosto che a quelli mediterranei. In compenso la laguna sta diventando un’area nursery per l’accrescimento delle giovani mazzancolle (Penaeus kerathurus), mentre per quanto riguarda i pesci, accanto alla consolidata la presenza dei giovanili del pesce serra, è stata rilevata la presenza dei giovanili del luccio di mare, noto anche come barracuda europeo (Sphyraena sphyraena).

Secondo il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC, 2018), per quanto riguarda la pesca marittima, i cambiamenti del clima avranno effetti non solo sulla produttività delle risorse, ma anche sulle operazioni di pesca. I pescatori, quindi, dovranno più frequentemente adattare le tattiche di pesca che, almeno in parte, dovranno necessariamente differire da quelle del passato, tramandate da generazione in generazione. Tuttavia una delle migliori strategie per mitigarne gli impatti sarà senz’altro quella di preservare e/o ripristinare il più possibile la naturalità degli habitat marini e lagunari al fine di renderli più resilienti e preservare una cultura millenaria basata sulla pesca e l’acquacoltura.

Bibliografia

Bettoso, N., A., Acquavita, A., D’Aietti & G., Mattassi (2013): The Marano and Grado Lagoon: a brief synopsis on the aquatic fauna and fisheries resources. Annales series historia naturalis, 23(2): 135-142.

Bettoso, N., G., Comisso & P., Kružić (2016): First record of the tripletail Lobotes surinamensis (Pisces: Lobotidae) in the Lagoon of Marano and Grado (Gulf of Trieste, northern Adriatic Sea). Annales series historia naturalis, 26(2): 209-212.

Bussani, M. (1986): Alcune specie ittiche presenti nell’area del parco marino di Miramare osservate durante il decennio 1968-77. Hydrores informations, 3: 1-94.

Dulčić, J., M., Kraljević, A., Pallaoro & B. Glamuzina (2005): Unusual catch of bluefish Pomatomus saltatrix (Pomatomidae) in Tarska cove (northern Adriatic). Cybium, 29(2): 207-208.

Lipej, L., M., Orlando Bonaca, B., Mavrič, M., Vodopivec & P., Kružić (2013): Monitoraggio della biodiversità marina nella Riserva naturale di Strugnano (Golfo di Trieste, Slovenia) con particolare riguardo all’impatto dei cambiamenti climatici su elementi biologici selezionati. In: Cambiamenti climatici e gestione delle aree protette. https://issuu.com/climaparks/docs/zbornik__ita___1_/51

Orel, G. (2007): La biologia dell’Alto Adriatico tra scienza e informazione. Quaderni del Circolo di cultura istro-veneta Istria. https://circoloistria.com/libri/la-biologia-dellalto-adriatico/

Orel, G. & R., Zamboni (2003): Proposte per un piano pluriennale di gestione della fascia costiera del Golfo di Trieste. ARIES Progetto Pesca SFOP 2000-2003, seconda edizione: 272 pp .

PNACC (2018): Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Giugno 2018, 336 pp.

Riccato, F., R., Fiorin, A., Franco & P., Torricelli (2011): Pomatomus saltatrix (Linnaeus, 1766): first record in the gulf of Venice. Bollettino del Museo di Storia naturale di Venezia, 62: 245-251.

Ultimo aggiornamento 19/5/2022

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